Settling down

zebraBiglietto mensile o biglietto annuale?

Sono rimasto per cinque minuti di fronte alla macchinetta come un idiota. L’idea che io possa rimanere qui a Berlino per anni ancora non mi entra in testa. È strano perché sin dal liceo ho sempre avuto nella mia mente un particolare “nomadismo”, magistralmente descritto da Basadonna. Un’eco spirituale che non vuole che io riesca ad insediarmi definitivamente in un posto e mi porta sempre a cercare qualcosa lontano.

Dopo la maturità non vedevo l’ora di trasferirmi in una nuova città e iniziare una nuova vita. Evaso da Foggia (non per Foggia, ma per alcuni foggiani), a Ferrara ero riuscito a trovare un certo equilibrio e sembrava che quasi quasi ci potesse scappare la famosa “sistemata” e “messa a posto”. Facile indovinare come sia andata a finire: terra bruciata, dopo una primavera (2012) in cui ho dovuto confrontarmi con continue scosse di terremoto, metaforiche e non.

Ho accumulato una buona dose di rabbia ed esaurimento nervoso, sfogati stranamente nella sessione di esami a Luglio. Con metodi più o meno ortodossi ho dato la stretta decisiva verso la laurea. Una voglia di riscatto personale che, tra taralli artigianali e improvvisate scene alla “Into the Wild” sulle Dolomiti, mi ha trascinato, durante un autunno fatto di elettromagnetismo e violino, un cenone di capodanno in viaggio – solo – con un panino al prosciutto su un Frecciargento e una tesi a Febbraio in cui ironicamente avevo il compito di creare del vuoto, fino all’agognato alloro di Marzo. Perdonatemi se questo enorme periodo non vi è chiaro sintatticamente. All’epoca alcune proposizioni si sono davvero alternate senza un filo logico.

Poi il Cammino. Vi ho già rotto le palle abbastanza col Cammino. In breve, ha ribaltato il tavolo su cui avevo appena calato il mio all-in prima che potessi o volessi riscuotere la vincita. Tornato a casa dalla Spagna non avevo più voglia di raccogliere “i cart da ‘nderr”, come direi a Foggia. Da un anno non avevo fatto altro che costruire qualcosa e buttarla giù. Il Cammino qui mi ha dato una mano nel fare buon viso a cattivo gioco. Se è così che deve andare, almeno nel frattempo ci divertiamo. Fanculo le fiches.

E via verso Monaco di Baviera, tra latitanze ad un inutile tirocinio e infatuazioni tanto fugaci quanto inutili (ad un certo punto anche ingenue, devo ammettere). Una laura magistrale sedotta e abbandonata, quando dopo due mesi di lezioni ho candidamente realizzato che non me ne fregava un cazzo della geofisica. L’inizio, la fine, la ripresa e la definitiva conclusione delle mie brevi memorie sul Cammino. La mattina a dormire perché tanto sono part-time, senza dimenticare il famoso meno male che non faccio full-time altrimenti “mo che arriva” l’Oktoberfest mi sputtano tutto lo stipendio. Un lavoro in un’azienda che vende anelli di fidanzamento online dove piano piano ci siamo ritrovati in mano a dei “geni” (per parafrasare Fernando Alonso) che ispirano leadership e carisma come il Paperino nazionalsocialista del ’43. Infine l’inevitabile ricerca di un altro lavoro: non aveva più senso rimanere a Monaco.

Nel frattempo si è formata una piccola coda dietro di me alla macchinetta dei biglietti per la metro. Faccio il mensile. Male che vada farò l’annuale a Gennaio, così mi vale per tutto il 2015 ed è più facile da ricordare. Torno a casa. Dopo un mese qui, ho ancora la roba negli scatoloni da trasloco e la valigia aperta ai piedi del divano-letto. Non voglio andarmene da Berlino. Il mio nuovo lavoro mi piace ed è stimolante, sebbene stia davvero lavorando parecchio in queste settimane. Eppure sono pronto a prendere tutto e andarmene da un altra parte. Non ha senso, non lo farò, ma non ci sono abituato. Ho cambiato sei abitazioni e quattro città in cinque anni, dopo essere andato via da Foggia. Pensare ad un 2015 tutto a Berlino è strano. Pensare che non saprò quando me ne andrò da qui è surreale. Mi sembra una trappola. Ne ho quasi timore.

How do you think I will – ever – be able to settle down?

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Mars Rover

Fonte: google.com

Giornata tranquilla a lavoro. Il party aziendale di Natale si avvicina e la location è appena stata comunicata. Una lounge presso Alexanderplatz, con tema “Dancing in the sky”.

Ballando in cielo? Dobbiamo vestirci da piloti e da hostess? Vabbè, intanto fammi controllare sto locale su Google Maps.

Un collega mi suggerisce di cambiare da Maps a Earth per vedere i modelli 3D degli edifici. Che figata! Istintivamente faccio andare la rotellina in su, per coprire una zona più ampia. Talmente ampia che in un batter d’occhio ho tutta la terra sott’occhio. Fin qui niente di nuovo. Google tuttavia adesso mi offre diverse opzioni di cui mi ero dimenticato: Terra, Luna e Marte. Senza pensarci, clicco su Marte per la prima volta.

“Ehi Jan! Sono su Marte!”

“Eh?”

“Sono su MAARTEEEEE!” – ripeto a voce alta e ridendo come un cretino.

I colleghi intorno si girano perplessi verso di me. Una di loro ha la scrivania alla mia destra:

“Dieci secondi fa stavi controllando il bar ad Alexanderplatz…” – mi dice mentre sbircia sul mio monitor, sopresa. Sono lì da tre settimane.

“Questo dovrebbe dirti qualcosa su di me, no?”

A Rover on Mars.

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Ardenne

eugene-roe-renee

Eugene Roe e Renee Lemaire. Fonte: Band of Brothers (HBO)

Un drappo azzurro. Le mani sporche.

Quando ormai la guerra è persa. Un ultimo attacco, un’ultima offensiva. Il disperato tentativo di capovolgere la situazione quando ormai non c’è quasi più niente da salvare. Sacrificare le ultime pedine sullo scacchiere per far guadagnare al Re un po’ di tempo. Il piano è tanto audace quanto inutile. Su più fronti, la guerra è ormai persa. Ma questo non mi interessa più.

Le sue mani sono sporche di sangue asciutto. Strappo il drappo azzurro.

È la vigilia di Natale. Curo una ferita altrui.

 

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I am entering the American sector

Stai per entrare nel settore americano. È proibito portare armi fuori servizio. OBBEDISCI ALLE REGOLE DEL TRAFFICO.

Stai per entrare nel settore americano. È proibito portare armi fuori servizio.
OBBEDISCI ALLE REGOLE DEL TRAFFICO.

Non capita spesso di avere l’occasione di riavviare la propria vita come se fosse un computer. Mi sto accorgendo piano piano che più si va avanti e più questo diventa difficile.

È ormai più di un anno che vivo a Monaco di Baviera e sarà la terza volta in cinque anni che mi trasferisco in un’altra città. Curiosamente, nel 2009 sono arrivato a Ferrara da Foggia spostandomi a Nord di circa 600 Km. Nel Maggio 2013 sono andato a Monaco, poco meno di 600 Km a Nord di Ferrara, mentre invece adesso mi sposterò a Berlino. Indovinate un po’ di quanti chilometri ed in quale direzione. Di questo passo arriverò a Capo Nord in pochi mesi! Non è sempre facile, tuttavia, ricominciare da zero. Non conoscevo nessuno a Ferrara, né tantomeno a Monaco. Sono arrivato in queste città di notte, sempre e solo con una valigia in mano e l’indirizzo di un ostello. A Berlino la situazione da questo punto di vista dovrebbe essere migliore, ma solo perché vado lì con un lavoro già in tasca.

Un lavoro. Ascoltando le news che arrivano dall’Italia mi sento molto fortunato: avrò l’opportunità di iniziare una carriera in un settore che mi entusiasma da sempre come quello videoludico. Un’opportunità troppo grande per poter essere abbandonata. Per cosa poi? Continuare a lavorare a Monaco e stare comunque all’estero? Sticazzi. Valigia, furgoncino e via. A dir la verità, un po’ odio definire una “fortuna” il trovare lavoro. Associo questa cosa alla mentalità prettamente italiana di ricevere un piacere nel caso in cui un datore di lavoro ci abbia offerto un contratto. Basta, basta, basta. Il lavoro si contratta alla pari.

A 25 anni dalla caduta del muro, Berlino sarà un’ottima occasione di iniziare ad abbattere il personalissimo muro pinkfloydiano che ho iniziato mio malgrado a costruire dopo alcune delusioni qui a Monaco, brick after brick. Un errore che riconosco è quello di non aver fatto alcuno sforzo per riprendere il tedesco. Qualcosa su cui mi sono intestardito senza motivo perché comunque non credevo potessi rimanere in mezzo ai barbari per così tanto tempo. E invece…

Guardando avanti, Berlino è il cuore pulsante d’Europa. Una città ferita e ricucita che non ha mai perso la sua identità unitaria. Forse mi sono abituato un po’ troppo alla perfezione di Monaco, dove tutto è pulito e ogni tanto puoi vedere unicorni attraversare la strada e gente che vomita arcobaleni nelle Festzelt. D’altro canto non ho mai vissuto in una grande capitale, così metropolitana e multietnica. Foggia è un ghetto, penso a Ferrara sempre con nostalgia e Monaco per me sarà sempre bel posto in cui stare (specie verso fine settembre).

Tutto il pacchetto sembra una bella sfida. Nuova città, nuovo lavoro, nuovi amici, nuovo ambiente. Il modo perfetto di ricominciare, adesso che ne sono ancora in grado e ne ho voglia.

CTRL+ALT+CANC. Reboot.

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Romanplatz

Linie 16 Richtung Romanplatz

Photo: Rob Faulkner (Flickr)

È più di un anno che prendo questo tram, il numero 16, in direzione “Romanplatz”. Sempre lo stesso tram, ogni giorno verso il centro di Monaco. La maggior parte delle volte lo uso per andare a lavoro. L’unica destinazione per cui non ho bisogno del tram numero 16 è l’aeroporto, lì dove il mondo si apre e tutto diventa più vicino. Forse è anche per questo che un po’ lo odio.

Mi porta, invece, verso una città opulenta e festaiola: la mia nemesi. La comodità mi ammazza e questo tram la aiuta.

Ogni giorno sopporto con insofferenza la vocina elettronica che annuncia il nome della prossima fermata. Appena fermi, si aprono le porte e la stessa vocina annuncia all’infinito: “Linea 16, direzione Romanplatz”.

Romanplatz. L’altro capolinea, all’esatto opposto rispetto a quello vicino casa mia. In linea d’aria la distanza tra i due punti è di pochi chilometri ma per percorrere tutta la linea ci vogliono almeno tre quarti d’ora. Non ho mai avuto motivo di andare lì. Ogni giorno nella mia mente cerco di immaginare come sia Romanplatz. È un po stupido, in realtà. Ma il fatto che sia una sorta di “oscuro opposto”, ancora da esplorare, mi incuriosisce.

Non posso più aspettare. Stasera vado a Romanplatz.

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