Day 26 – La fine dell’arcobaleno

27 Aprile 2013 – Santiago de Compostela

Non è stato difficile svegliarsi. Pur essendo notte fonda, riesco a trovare qualche altro pellegrino intento a partire.

Verso Santiago!

Verso Santiago!

Sono due uomini spagnoli, di cui non ricordo il nome ad essere sinceri. Facciamo colazione in un bar stranamente aperto e ci mettiamo in marcia. Hanno una torcia, io ho la mia e così con due “occhi” ci inoltriamo nel bosco che si attraversa appena usciti da O Pedrouzo.

Non credo ci sia ancora bisogno di specificare che questa tappa la ricordo benissimo grazie al Cammino del 2011. Anche due anni fa iniziammo di notte per poi fermarci all’aurora ed effettuare la cerimonia della mia “Partenza”.

Stavolta il passo è celere, fa freddo e per i primi chilometri non c’è il sole a riscaldarti, ma solo la voglia di concludere il pellegrinaggio.

La salita verso l'aeroporto, dove lasciai il mio Clan e presi la Partenza nel 2011.

La salita verso l’aeroporto, dove lasciai il mio Clan e presi la Partenza nel 2011.

Arrivata l’alba, ci troviamo nei pressi dell’aeroporto di Santiago. Non manca molto, il mio animo è pervaso da una grande gioia e soddisfazione. Inizio praticamente a correre, lasciando dietro i due spagnoli. Ho bisogno di stare da solo, di cantare ad alta voce la canzone che creai insieme al mio Clan e al mio Distretto Puglia FSE nel 2011 per celebrare il nostro Cammino. Ho bisogno di cantare ad alta voce “Il Richiamo della Strada”, perché due anni fa quelli erano i miei primi passi da R-S.

Ho bisogno di cantare, perché sono felice e non c’è nessuno intorno. E’ ancora troppo presto, la Galizia dorme e non può capire il mio entusiasmo.

Ho bisogno solo di una sosta “tecnica” per andare in bagno e prendere un tè caldo. Non esiste la stanchezza, nonostante i giorni precedenti non siano stati semplicissimi (soprattutto prima dell’arrivo a Melide). Uno dopo l’altro i chilometri vengono macinati come chicchi di caffè prima di un buon espresso.

Si arriva alla salita del Monte do Gozo, appena cinque chilometri prima di Santiago. Inizia a piovere con una discreta insistenza. Niente di preoccupante, ma quel tipo di pioggia che ti fa chiedere se vale davvero la pena fermarsi per indossare la giacca a vento oppure no.

Arrivati in cima alla collina, vengo accolto da due arcobaleni.

[Ho dovuto aumentare un po’ il contrasto e la saturazione delle foto per evidenziare anche il secondo, molto più tenue del primo, perdonatemi]

Uno spettacolo che mi rallegra e mi fa pensare: continuando a camminare infatti, noto che secondo la mia prospettiva l’arcobaleno sembra partire dalla città di Santiago. Per una volta, non mi domando dove finisca l’arcobaleno e se davvero lì ci sia una pentola d’oro, come vorrebbe la leggenda.

Non mi interessa l’oro ed inoltre so bene che l’arrivo a Santiago è in realtà un punto di partenza, come sempre. Come per l’arcobaleno.

Arcobaleno che sembra partire proprio dalla città di Santiago.

Arcobaleno che sembra partire proprio dalla città di Santiago.

E’ difficile spiegare la sensazione che si ha in quei momenti. Sembra essere presente nella tua testa uno spirito benevolmente “fatalistico”: come se tutto stesse andando su dei binari che in realtà erano già pronti da tempo ed aspettavano solo che il treno partisse per il suo viaggio.

Cose che devono succedere perché devono succedere e non può essere altrimenti.

Per questo motivo arrivi a Santiago e vieni accolto in questo modo. Certo, razionalmente posso capire che sia una coincidenza fortuita. Se aveste provato a chiedermelo quel giorno tuttavia, vi avrei risposto che sono state tante coincidenze lungo tutto il Cammino a farmi pensare, e quella era solo l’ultima. Vi avrei anche probabilmente mandato a quel paese, nonostante la mia formazione accademica non lasci scampo a pensieri del genere.

Poche storie, nella mia mente tutto è arrivato ad essere coerente e già scendendo dal Monte do Gozo inizio a sentire fortissime emozioni, a causa delle quali riesco a stento a trattenere le lacrime.

Sono apparsi nel frattempo altri pellegrini intorno a me, ma io cammino più veloce.

La periferia della città. Ci siamo, mancano pochissimi chilometri alla Cattedrale.

La periferia della città. Ci siamo, mancano pochissimi chilometri alla Cattedrale.

Ha smesso di piovere nel frattempo, e mentre mi faccio strada verso il centro della città diventa sempre più difficile resistere alla commozione. Fermarsi ai semafori è fastidioso. Perché devo aspettare un minuto fermo quando potrei attraversare e camminare? La gente sui marciapiedi è fastidiosa: Luat’v da nanz! Che teng aa prèscije! [Per piacere spostatevi, vado di fretta, ndr.]

Cerco di calmarmi scattando fotografie, ma non funziona perché per scattare devi fermarti e io non voglio assolutamente farlo.

Passanti: fatemi spazio!

Passanti: fatemi spazio! Sullo sfondo, si inizia a vedere la Cattedrale.

Quando per la prima volta scorgo in lontanza la Cattedrale, inizio a piangere. Sposto le persone che trovo davanti a me avendo cura solo delle vecchiette. Sono le uniche povere anime che non voglio travolgere con il mio zaino.

Ricordavo la successione delle strade che ti portano alla Cattedrale. La commozione sale quando riconosco di essere di fianco alla cattedrale, a pochi passi verso l’arco che ti immette nella grande Praza do Obradoiro.

Si passa sotto l'arco, scendendo una piccola scalinata.

Si passa sotto l’arco sulla destra, scendendo una piccola scalinata.

Ricomincia a piovere, sotto l’arco c’è sempre uno o più galiziani che suonano la gaita (specie di cornamusa) e con questo suono dal fascino celtico e medievale, che prima cresce e poi si affievolisce, arrivo finalmente di fronte alla Cattedrale. I brividi mi salgono ancora solo a pensarci.

La foto di una vita.

Piove ancora. Piovono lacrime di gioia.

Butto a terra lo zaino e mi fermo con lo sguardo all’insù ad ammirare la facciata della Cattedrale: quanto sei bella.

Abbasso lo sguardo e porto la mano sul viso per asciugarmi il volto dalla pioggia che dalla fronte cade verso gli occhi, si mischia alle lacrime e insieme a queste cade un po’ sulla mano e un po’ scivola lungo le guance. Rimango qualche minuto sotto la pioggia a contemplare la Cattedrale, con la testa vuota, senza pensieri, respirando piano e tirando su con il naso. Mi tolgo il cappellone, caro compagno di strada: in fondo, adoro la pioggia e il suo odore.

Ben sai come ne l’aere si raccoglie
quell’umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove ‘l freddo il coglie.

Subito dopo prendo il mio zaino ed entro all’interno per andare sulla tomba di San Giacomo. Vado spedito verso l’entrata della piccola cripta sotto l’altare: ricordavo benissimo dov’era (a sinistra si entra e a destra si esce, attraverso due porte molto strette).

E’ ancora presto, non c’è una coda all’ingresso. Riesco ad entrare senza togliermi lo zaino e dunque ad inginocchiarmi di fronte alla tomba. Anche qui, grande commozione: mi accorgo di avere un po’ di sguardi addosso ma non mi interessa. Ho tenuto fede al mio impegno, ho completato il Cammino, sono andato da “Giacomo”. Tutta la tensione accumulata in ventisei giorni si scarica fulminea in quegli istanti.

Esco dalla cripta con le lacrime asciutte, felice come poche altre volte nella mia vita. Leggero con il mio zaino. Entusiasta di quell’attimo. Vivo di me stesso.

Epilogo –>