25 Aprile 2013 – Melide
Sono ancora stanco. Doveva essere una tappa leggera, ma a quanto pare nessuna tappa è leggera.
Arrivato più o meno in orario, prevedevo per le due-tre, sono arrivato poco prima delle quattro.
Cammino sempre più lentamente.
Partito di buon ora, rimango sorpreso dai bei colori che mi regalano le prime luci del mattino.
Ricordo che due anni fa questa era stata la parte dove più avevo sofferto: avevo molte vesciche ai piedi, e ad ogni passo stringevo sempre di più i denti. Eravamo partiti da Portomarin e si doveva arrivare a Palas de Rei, dove stavolta invece programmavo di pranzare.
Ancora molti déjà vu, soprattutto in alcuni posti dove sapevo di aver scattato delle fotografie, e che riconoscevo a mano a mano che avanzavo verso Palas de Rei. L’unica cosa che mi consolava, era il diverso stato fisico in cui ho affrontato questa parte di Cammino rispetto a due anni prima. Nonostante nelle gambe avessi molti più chilometri, l’accoppiata calze-scarponi mi ha miracolosamente tenuto il piede al riparo da ogni vescica. Ovviamente non dai calli, ma sarebbe stato impossibile evitarli.
Era forte, tuttavia, la mancanza che sentivo dei miei compagni di viaggio.
Subito dopo pranzo, scendendo verso il centro abitato di Palas de Rei, incrocio un camion che mi passa davanti: è un camion di Estrella Galicia! L’occasione è troppo ghiotta per non essere presa al volo: fermo l’autista e ne approfitto per farmi scattare una foto che ritengo preziosissima.
Soddisfatto questa specie di desiderio puerile, mi rimetto in marcia contento. Ci sono da affrontare adesso una dozzina di chilometri, quelli che dividono Melide da Palas de Rei, che nel 2011 non abbiamo percorso. Diciamo che uno dei motivi che mi hanno spinto a ripercorrere il Cammino è stato anche il voler “vendicare” una decisione che nessuno del mio Clan aveva approvato, nonostante gli acciacchi come il ginocchio di Bafio o le mie veschiche.
Forse un po’ orgogliosamente, ma percepivo la cosa come una ferita al mio onore di Rover, e dunque il danno andava riparato.
Tra l’altro, si attraversa una bel tratto di foresta in cui ho scattato una delle foto che mi piace di più:
Una volta giunto nei pressi di Melide, tuttavia, una insolita stanchezza e paranoia mi pervade. Per la prima volta mi sono sentito davvero annoiato dalla marcia. Una sensazione che non mi è piaciuta per niente e che non mi sono riuscito a spiegare.
Non ho voglia di scrivere lettere, non mi sento ispirato.
Stanchezza muscolare, morale non proprio alle stelle. Oggi pensavo “M’agghije proprije cact ‘u cazz a cammnà”.
Dopodomani però dovrei essere a Santiago!! Sto faticando tanto per tenere fede al mio impegno e per avere una Compostela senza alcuna macchia.
A parte il francesismo centrale, davvero l’unico pensiero che ti fa mettere ogni volta un piede davanti all’altro è solo Santiago. Il carburante, in questo caso, risponde al nome di Estrella Galicia. Si procede infatti a tutta birra, per arrivare il prima possibile.
Una volta arrivati a Melide, il piano per la cena è scritto già da prima che io partissi: cenare con il Pulpo da Ezequiel. Mi trovo in compagnia di Marina e insieme andiamo a mangiare presso la pulperia più famosa della Galizia.
E’ quasi inutile descrivere quanto sia buono il pulpo a la gallega. A differenza di quello nostrano, di solito piacevolmente calloso, la preparazione galiziana prevede una lunga bollitura in modo che il polipo risulti alla fine così tenero che in pratica si scioglie in bocca. Un’apoteosi di sapori che fa felice l’occhio, il naso, il palato e lo stomaco.
La cena superba mi regala un improvviso boost di morale. Dopo un piatto del genere, ti senti capace di conquistare il mondo.
Domani obiettivo Arca – O Pino, facendo così in un giorno solo due tappe di due anni fa. Sarà una giornata lunga. Sicuramente bisognerà camminare anche tutto il pomeriggio.
Sale l’attesa, diminuiscono i chilometri. A parte i momenti di crisi (come quello prima di Melide), avresti voglia di non fermarti fino a Santiago se non ci fossero i calli a ricordarti la tua condizione di essere umano. Inizi a pensare all’arrivo, alla Cattedrale, alla tomba di San Giacomo ma non a cosa fare dopo. Non esiste un dopo, non ancora.
Esiste solo la destinazione successiva, insieme alla doccia (si spera calda) a fine tappa e alla birretta d’ordinanza.
Un pellegrino non ha bisogno di tante altre cose: tanto gli basta per essere felice.